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Il giornale che pubblica una notizia e scatena l'inferno

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Dell'assuefazione. E della vergogna: GPS N33114519 E014074476

01-05-2021 07:00

Nicola Filippone

Cronaca, Focus,

Dell'assuefazione. E della vergogna: GPS N33114519 E014074476

...stiamo già arrivando al tempo del post-umano?

Anche questa settimana il preside dell'Istituto salesiano Ranchibile di Palermo Nicola Filippone tocca un nervo scoperto.

E fa male...

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Esiste un meccanismo di difesa nell’essere umano, che si chiama assuefazione, con cui egli riesce a superare situazioni difficili, spesso spiacevoli, adattandosi alle circostanze, così come esse si presentano.

 

Ci si può assuefare ad un clima rigido o al caldo torrido, alla fatica fisica, alla sofferenza, alle persone moleste, al dolore e a svariate altre forme di disagio.

 

L’assuefazione può pure verificarsi nei confronti di ciò che, invece, arreca beneficio, vantaggio, vanificandone l’efficacia.

 

Ad esempio, una terapia prolungata, una gioia rivissuta, una lieta notizia, una intensa passione, un forte sentimento.

 

C’è, infine, un ultimo caso da considerare, che riguarda tutte le volte in cui accade qualcosa di grave, che interpella la coscienza, che richiede, anzi esige, un moto d’indignazione, una reazione energica, drastica, furiosa e, al contrario, non succede nulla, per effetto, ancora una volta, dell’assuefazione.

 

Pensiamo al cattivo gusto, ormai dilagante dappertutto: programmi televisivi, internet, edilizia urbana ed extraurbana, istituzioni, abbigliamento, linguaggio.

 

Eppure ci siamo a tal punto abituati alla bruttezza, da apparirci normale, da trovarci “una logica e una giustificazione per il solo fatto d’esistere”, diceva Peppino Impastato.

 

E, purtroppo, ci siamo assuefatti anche ai morti.

 

Ogni sera leggiamo, o ascoltiamo, il bilancio del coronavirus e, a meno di non apprendere il decesso di un conoscente, di un amico o di un parente, le trecento o quattrocento vittime quotidiane non rattristano e non preoccupano più nessuno.

 

Recepiamo il dato come i risultati di una domenica calcistica o le temperature del meteo.

 

L’assuefazione diviene, in questo modo, indifferenza, tiepidezza, superficialità, a tratti cinismo e, nelle forme peggiori, sfocia nella disumanità
 

Disumano è stato, infatti, il comportamento delle autorità libiche ed europee, soprattutto italiane e maltesi, che lo scorso 21 aprile, hanno lasciato morire in mare 130 persone.

 

Nonostante il network telefonico Alarm phone, precedentemente allertato da pescatori locali, le avesse avvisate sin dalle 9:51 di quella mattina, della presenza in mare di un gommone in pericolo.

 

Nonostante, poco dopo le 11, fosse giunta loro l’esatta posizione GPS dell’imbarcazione (N33114519 E014074476) e la situazione disperata nella quale versavano i passeggeri.

 

Nonostante, verso mezzogiorno, fosse stato comunicato che una nave mercantile era in grado di intervenire.

 

Nonostante avessero ricevuto la posizione GPS aggiornata alle 16:15, alle 17:16, alle 19:15 e l’aereo Osprey di Frontex avesse individuato lo scafo.

 

Nonostante fossero a corrente che la Guardia Costiera libica non avrebbe agito in suo soccorso, per le condizioni atmosferiche e perché impegnata in un’altra operazione. 
 

A queste reiterate e drammatiche invocazioni di aiuto si sono susseguite, per tutto il pomeriggio del 21 e la mattina del 22, risposte del tipo: “Ricevuto. Informate le autorità competenti”; “Stiamo facendo il nostro lavoro, chiamate se avete nuove informazioni”; “Chiamateci se avete nuove informazioni, sappiamo della barca”.

 

Fino alle 17:08, quando la nave della ong francese Sos Mediterranee, Ocean Viking, protagonista di un recente episodio di salvataggio, informava Alarm Phone, tramite email, di avere cercato la barca in difficoltà, assieme alle navi My Rose, Alk e Vs Lisbeth e di avere purtroppo trovato i resti di un naufragio e molti cadaveri.


Domenica scorsa, dopo la preghiera del Regina caeli, il Papa ha detto: “Centotrenta migranti sono morti in mare. Sono persone, sono vite umane, che per due giorni interi hanno implorato invano aiuto, un aiuto che non è arrivato. Fratelli e sorelle, interroghiamoci tutti su questa ennesima tragedia. È il momento della vergogna”. 
 

La prima domanda è allora: perché?

 

Perché chi poteva non si è mosso e si è, piuttosto, voltato dall’altra parte?

 

Perché, dopo un viaggio tanto lungo e pernicioso, avuto inizio in Somalia, Eritrea e Sudan, un epilogo così tragico?

 

E pensare che, prima di prendere il largo, i migranti erano stati costretti dalle bande di trafficanti Khomos, a girare un video, in un appartamento elegante, a scopo pubblicitario, per smentire le voci intorno ai maltrattamenti cui si è sottoposti in Libia.
 

Il secondo interrogativo è: che cosa?

 

Che cosa avranno pensato i centotrenta naufraghi, prima di essere inghiottiti dal mare?

 

Dopo vari tentativi, Alarm phone, alle 10:03 del 21 aprile, era riuscito a mettersi in contatto con loro e a captare un unico, angosciato, ma fiducioso, appello: “chiamate i soccorsi”.

 

Dunque essi hanno vissuto le trenta ore successive nella speranza malriposta di essere salvati, attendendo invano un soccorso, che non è mai giunto.
 

La terza domanda è quella di Safa Mshli, portavoce dell’OIM, l’organizzazione delle Nazioni Unite per i migranti: è questa l’eredità dell’Europa?

 

Il vecchio continente, dove sono nati il concetto di persona e di uguaglianza, il diritto e la democrazia, la tolleranza e il pluralismo, la meta agognata da milioni di esseri umani, sbatte la porta in faccia a coloro che in essa avrebbero voluto ritrovare la dignità negata nei loro Paesi di provenienza.

 

La terra di Socrate e Platone, Pascal e Kant; dove sono state concepite e lette le opere di Dante e Shakespeare; dove Manzoni e Dostoevskij hanno mirabilmente descritto l’animo e le virtù dell’uomo; nella quale Leonardo, Michelangelo e Raffaello hanno esaltato nell’arte la bellezza e l’armonia della natura, è tremendamente responsabile della morte assurda e inspiegabile di centotrenta persone.  
 

Nei giorni scorsi ci siamo giustamente scandalizzati e abbiamo pure rasentato una pesante crisi diplomatica, per una poltrona negata ad una rappresentante delle istituzioni europee, durante una visita ufficiale.

 

Siamo il Paese in cui il “politicamente corretto” è sempre pronto ad accanirsi e a scagliarsi contro chi si discosta da un presunto sentire comune, vieppiù incline ad imporsi come pensiero unico.

 

Si è dibattuto in tutti i talk show e programmi di approfondimento, di una maldestra operazione economico-sportiva, che ha rischiato di compromettere il prossimo campionato di calcio, già molto sacrificato dalla pandemia.

 

Ma non c’è stata una obiettiva e adeguata reazione di sconcerto e condanna verso una strage che si poteva evitare; non è emerso un sincero desiderio di giustizia, né si è ventilato di indagare sulle “autorità competenti”, rimaste inattive. 
 

Neanche l’opinione pubblica ha mostrato una grande sensibilità verso l’accaduto, sono invece prevalsi un inaccettabile distacco e una ripetuta forma di assuefazione nei confronti di tante vittime umane, riconducibili a quella che Luigi Zoja chiama “la morte del prossimo”.

 

In un libro pubblicato nel 2009, l’autore, dopo avere richiamato la morte di Dio, annunciata da Friedrich Nietzsche alla fine dell’Ottocento, analizza il passaggio dal XX al XXI secolo.

 

Il dominio della tecnologia nel campo della comunicazione, secondo il noto sociologo e psicanalista, ha dilatato a dismisura le distanze tra gli uomini, fino a superare il concetto stesso di prossimità.

 

Se “i tempi seguenti alla «morte di Dio» sono stati a volte detti post-teologici o post-religiosi, scrive Zoja, per quelli attuali non si è ancora trovato un nome.

 

Una sgradita possibilità sarebbe «post-umano»
 

Non so quanto tempo rimanga per scongiurare l’attuarsi di questa sgradita possibilità.

 

Temo molto poco.
  

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